Caccia tragica

Caccia tragica
Andrea Checchi e Vivi Gioi in una sequenza del film
Paese di produzioneItalia
Anno1947
Durata90 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,37:1
Generedrammatico
RegiaGiuseppe De Santis
SoggettoGiuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Lamberto Rem-Picci
SceneggiaturaGiuseppe De Santis, Corrado Álvaro, Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro, Carlo Lizzani, Gianni Puccini, Cesare Zavattini
ProduttoreGiorgio Agliani, Marcello Caccialupi Olivieri Parteguelfa
Casa di produzioneDante Film, ANPI Film
Distribuzione in italianoLibertas Film
FotografiaOtello Martelli
MontaggioMario Serandrei
MusicheGiuseppe Rosati
ScenografiaCarlo Egidi
CostumiAnna Gobbi
TruccoGuglielmo Bonotti
Interpreti e personaggi

Caccia tragica è un film del 1947 diretto da Giuseppe De Santis.

Trama

Massimo Girotti e Carla Del Poggio in una sequenza del film

Nell'immediato dopoguerra, un camion sul quale viaggiano i novelli sposi Michele e Giovanna e il ragioniere di una cooperativa agricola, incaricato di portare in sede quattro milioni di lire, viene assalito da un manipolo di banditi. I malviventi bloccano la strada con una finta ambulanza, uccidono l'autista e il ragioniere, si impossessano del denaro e prendono in ostaggio la ragazza. Alberto, il capobanda, è un disoccupato reduce di guerra; Daniela è la sua amante, una ex collaborazionista soprannominata Lili Marlene. I contadini della cooperativa si uniscono ai carabinieri per aiutarli a catturare i malviventi. Dopo un lungo inseguimento Daniela e Alberto, trascinando con sé Giovanna, si barricano in un edificio, già sede di un comando tedesco, dove vengono accerchiati.

Il terreno intorno è stato minato dai tedeschi e Daniela vorrebbe far esplodere le mine per far strage degli assedianti. Alberto vuole impedirglielo e, dopo una colluttazione, la uccide. Giovanna è finalmente libera e Alberto, catturato dai membri della cooperativa, deve subire il loro processo. Michele infine persuade i compagni della necessità di perdonare l'uomo, vittima disperata della guerra e dei padroni sfruttatori. Un lancio di zolle di terra sulla schiena di Alberto "redime" moralmente l'uomo, che si avvia verso il proprio futuro [1].

Genesi e accoglienza

Sceneggiatura e riprese

È il lungometraggio d'esordio di Giuseppe De Santis, che lo scrisse insieme a numerosi sceneggiatori molto diversi tra loro: dallo scrittore Corrado Alvaro al teorico Umberto Barbaro, da Cesare Zavattini ai critici e futuri registi Carlo Lizzani, Gianni Puccini e Michelangelo Antonioni (che voleva dare alla nazifascista tendenze più chiaramente lesbiche)[2].

Alla base del film non c'è un'unica storia vera, ma una serie di vicende accadute in quegli anni nella Bassa Padana e documentate da un’inchiesta del giornalista Lamberto Rem-Picci. Il film, finanziato dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, fu girato tra il febbraio e il maggio 1946 nelle paludi di Comacchio, dove all'epoca c'erano ancora disordini e scontri tra partigiani e fascisti. Per le scene di massa molte comparse furono fornite da cooperative e partiti politici di sinistra. De Santis ci teneva alla forma non meno che ai contenuti e utilizzò per le riprese anche una rudimentale gru in legno che gli permise di realizzare alcune inquadrature ispirate alle coreografie americane di Busby Berkeley (che il regista amava molto). Il film è anche ricco di piani-sequenza e di movimenti di macchina raffinati[2].

Incassi

Incasso accertato a tutto il 31 dicembre 1952 £ 80.000.000

Critica

«Il film resta uno dei migliori della sua epoca, anche per il tentativo di fondere l’impopolare neorealismo con i toni più accattivanti della grande narrativa popolare. Bello e imprevedibile il finale, in cui i contadini anziché lapidare Andrea Checchi gli tirano addosso delle zolle di terra quasi augurali, addirittura sorridendo, come in un gioco: c’è la leggerezza sorridente ma non fatua di certi finali di Truffaut.»

(Enrico Giacovelli, Un secolo di cinema italiano 1900-1999, Torino, Lindau, 2002 (Vol. I. Dalle origini agli anni Sessanta.)

«Questo film che segna il debutto nella regia di Giuseppe De Santis resta, pur nei suoi forti limiti derivanti dalla struttura intellettualistica della sceneggiatura e dai troppi temi affrontati e non ben sviluppati insiti nel soggetto, forse l'opera migliore del regista. Narra gli sforzi di una cooperativa agricola romagnola, nel dopoguerra, di organizzarsi, nonostante la contrarietà dei latifondisti e di una banda di malviventi. Il film tratta il dopoguerra, i reduci, il banditismo e altre questioni sociali...»

(Gianni Rondolino, Catalogo Bolaffi del cinema italiano 1945/1955)

Testimonianze

Ricordava il regista che «il finale di Caccia tragica, con i contadini che giudicano e assolvono il bandito e lo invitano a reinserirsi tra loro, a distanza di tempo - con le esperienze che abbiamo fatto, con i governi che abbiamo avuto - posso considerarlo un finale utopistico. Ma lo rigirerei esattamente nello stesso modo, perché ritengo che un autore deve basare la sua creatività su un’utopia, anche se questa creatività ha l’ambizione di nascere dalla realtà. L’utopia, secondo me, fa bene agli artisti. Certo, bisogna che sia un’utopia che contenga dei valori intesi a portare avanti lo sviluppo del mondo, lo sviluppo dell’uomo, della società»[3].

Riconoscimenti

Note

  1. ^ sinossi tratta da: Marco Grossi (a cura di), Giuseppe De Santis. La trasfigurazione della realtà / The Transfiguration of Reality, Roma, Centro Sperimentale di Cinematografia - Associazione Giuseppe De Santis, 2007
  2. ^ a b Enrico Giacovelli, Un secolo di cinema italiano, 1900-1999, collana Cult, 1. ed, Lindau, 2002, ISBN 978-88-7180-412-5.
  3. ^ Franca Faldini e Goffredo Fofi (a cura di), L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959, Milano, Feltrinelli, 1979.

Bibliografia

  • Catalogo Bolaffi del cinema italiano 1945/1955, a cura di Gianni Rondolino, Bolaffi editore, Torino, 1977
  • Stefano Masi, Giuseppe De Santis, La Nuova Italia, Firenze, 1981.
  • Enrico Giacovelli, Un secolo di cinema italiano, 1900-1999, vol. I, Lindau, Torino, 2002.

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